Oggi più che mai penso che il progetto educativo sia assolutamente attuale così come la figura dell’accompagnatore di alpinismo giovanile. Quello che non dobbiamo dimenticare è il punto centrale del nostro operare, dal quale dobbiamo ripartire: il nostro protagonista è il giovane; l’accompagnatore è prima di tutto un educatore e la montagna è soltanto un mezzo per aiutarci ad educare i ragazzi aiutandoli a crescere all’interno di una comunità, la nostra società.
Considero il Cai una grande famiglia, all’interno della quale ogni membro può contribuire alla crescita di tutti i suoi componenti, ognuno con le sue competenze e solo con grande sinergia tra le parti. Come in una famiglia dove ogni membro contribuisce, con le sue specificità, alla crescita di tutti i suoi membri, così anche il Cai di oggi penso che possa essere vincente e credibile solo attraverso la collaborazione tra le sue aree (accompagnatori, istruttori etc), visto che siamo parte tutti di una stessa associazione.
Penso che gli accompagnatori di alpinismo giovanile debbano essere, in primis, “compagni di strada” dei ragazzi, cercando di trasmettere loro i valori che questa nostra società moderna sembra aver perso. Se abbiamo scelto di essere accompagnatori è perché abbiamo dentro una motivazione che ci spinge a fare qualcosa non solo per noi stessi, ma anche per gli altri, in particolare per i ragazzi; non a dimostrare quanto siamo bravi e cosa sappiamo fare. Se così non è forse è giusto ripensare al perché facciamo queste esperienze, perché abbiamo scelto di essere volontari del Cai ed impegnarci, perché spendiamo le giornate stando insieme ai ragazzi. Nessuno ci obbliga a fare parte di questo sistema, di questa associazione, di questo progetto, perché abbiamo scelto noi di esserci.
Dobbiamo evitare che il tecnicismo ci allontani dal nostro obiettivo. Credo che il CC ci stia dando una grande opportunità: quella di svolgere, in maggiore sicurezza, il nostro compito di educatori, in collaborazione con tutte le discipline nel quale il Cai opera. Non dobbiamo perdere di vista il nostro protagonista, che è il giovane. Abbiamo tutti gli strumenti per coinvolgere i ragazzi, sta soltanto a noi utilizzare questi strumenti nel modo corretto e avere chiaro dove vogliamo andare.
A tal scopo penso siano necessari piani formativi adeguati, in grado di far lavorare gli accompagnatori sulle motivazioni che li spingono a svolgere questa attività; si, adeguati anche a livello tecnico perché è necessario che un accompagnatore abbia alcune conoscenze visto che ha la responsabilità dei minori, ma lontani dall’eccessivo tecnicismo; la preparazione tecnica deve offrirci solo una maggiore sicurezza per il nostro operare, ma non allontanarci dal nostro obiettivo. E’ giusto essere capaci di intervenire in caso di emergenza, ma formarsi non comporta un’automatica applicazione di quello che sappiamo fare. Ci sono altre persone formate per questo e con le quali, già all’interno dei corsi di formazione, potrebbe essere auspicabile la collaborazione e una bella sinergia.
I valori che l’alpinismo giovanile deve trasmettere ai giovani sono altri: il rispetto dell’ambiente, la cultura della montagna, il valore del gruppo, l’appartenenza ad una società e ad una comunità (solo per citarne alcuni). E abbiamo già tutti gli strumenti per farlo, basta applicarli. Nel 1954 Maslow diceva che la terza esigenza più importante per l’uomo (dopo i bisogni fisiologici e quelli di sicurezza) è il bisogno di appartenenza. “Far parte di un gruppo, cooperare, partecipare; Questa categoria rappresenta l'aspirazione di ognuno di noi a essere un elemento della comunità”; Che cos’è l’Alpinismo Giovanile se non un’occasione che ci viene offerta per realizzare questo obiettivo? e ripeto che siamo noi che abbiamo scelto di esserci. Nessuno ci obbliga.
Cosa dobbiamo essere? Persone coerenti, capaci di essere un esempio positivo per i ragazzi che accompagniamo in montagna; capaci di coinvolgerli nelle attività che organizziamo per meglio rispondere alle loro esigenze. E per questo non è necessario fare il sesto grado o andare a 4000 m. Nessuno ci vieta comunque di farlo, in modo sicuro ed in collaborazione con le figure competenti. E cosa c’è di male in questo? “I ragazzi son capaci di vedere l'avventura in una comune pozzanghera di acqua”, siamo noi che dobbiamo essere capaci di far vivere loro questa avventura, con gli strumenti che il Cai ci offre.